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Un paese che mi evoca grandi emozione sono gli Stati Uniti. Lo so non sono originale. Ovviamente sono affascinato da città come New York o San Francisco o Las Vegas (che mi sembrava senza senso finché poi non ci sono andato e l’ho vissuta un po’) ma ciò che mi ha sempre davvero attirato è l’America nascosta. Quella che è lontana dai riflettori, dalle luci della ribalta e dalle paillettes. Mi attirava la scoperta dell’America che non si conosce, l’America profonda, quella che non ti aspetti, fuori degli itinerari turistici e di tutto ciò che ci viene propinato. Quell’America fatta di personaggi impensabili per la nostra cultura.

Ho sempre avuto per l’America un sentimento di amore/odio. Odio perché spesso la politica estera americana è stata ed è quello che è. Amore perché non si possono non amare gli spazi sterminati della natura e quel senso di libertà che ti dà sia questi spazi, sia la loro filosofia di vita “se vuoi puoi”. Senza pensare che come molti sono cresciuto a pane, nutella e telefilm americani, attraverso i quali intere generazioni hanno conosciuto le loro vite e le loro abitudini. L’America è dentro di noi!

Qualche anno fa, ho fatto una serie di lavori fotografici in giro per gli Stati Uniti. A volte sono stato accompagnato da amici americani e questo mi ha permesso di capire meglio le loro vite e le loro abitudini. Sono stati però gli incontri casuali, quelli inaspettati lungo il percorso che stavo facendo, che mi hanno regalato i momenti più importanti.

Uno dei miei progetti in America, racconta il fiume Mississippi. I luoghi, ma soprattutto la gente che vive e respira il fiume. Prima di partire avevo già alcuni contatti, ma l’idea era soprattutto di lavorare con chi avrei conosciuto lungo il cammino. Questo mi dava più l’idea di autentico, di vero, di vissuto. Di vivere un po’ così, come le cose come venivano. Facendomi sorprendere dalle persone che incontravo e facendomi portare dagli eventi, lasciando che la corrente scorresse, senza manipolare troppo la situazione. Un po’ spirito “On the road”! Ho puntato sulla mia capacità entrare in sintonia con le persone, incuriosirli con il mio progetto, sperando nella loro disponibilità di aprirmi le porte. Come normale, non è successo con tutte le persone che ho incontrato lungo il cammino. E di quelli che mi hanno aperto le porte con alcuni è bastata una chiacchierata davanti ad un paio di birre, con altri c’è voluto più tempo. Ma il bello era anche questa incognita che alla fine mi ha fatto vivere un’esperienza assolutamente sorprendente come solo l’inaspettato può regalarti.

Uno di questi incontri che hanno determinato il corso di questo progetto è stato con Jeff a Tiptonville, cittadina tra Missouri, Kentucky e Tennesse. Ero in una zona rurale vicino al lago Reelfoot e vedo una trebbiatrice gigantesca ferma in un campo cotone. Un ragazzo armeggiava nella parte posteriore, dove la macchina compatta il cotone in enormi balle. Qualcosa si era inceppato e parte del cotone era fuoruscito. Per fortuna aveva sistemato la cosa rapidamente e prima che lui potesse ripartire, mi avvicino, mi presento e iniziamo a parlare. Dopo poco mi dice: “perché non sali? Devo finire il lavoro, parliamo su”. Piano piano scopriamo che abbiamo più o meno la stessa età ed entrambi un figlio di un anno. E’ qui che inizia la nostra amicizia. Ormai era sera e mi chiede se dopo cena mi prendevo una birra al pub sulla main street! Te la faccio breve, la birra ce la siamo presa e non solo il giorno dopo ero a pranzo con tutta la sua famiglia, ma mi hanno invitato qualche giorno nella loro fattoria. Era quello che cercavo, scene di vita di una tipica famiglia che vive della propria fattoria.

Mi sono trattenuti in quel buco di Tiptonville, se lo vedi non gli dai un soldo, per quasi 4 settimane. Grazie alla famiglia di Jeff ho conosciuto molti dei personaggi più particolari della zona, che poi sono stati importantissimi per lo sviluppo del lavoro.

Di alcuni di loro vi parlerò nella seconda parte di questo post che racchiude una delle mie esperienze. (fine prima parte)

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